La sostenibilità e l’economia circolare dell’abbigliamento da lavoro vertono sulla gestione della sua creazione, gestione, fine vita e recupero. In questo articolo ti parlerò dello schema Made Green in Italy nell’abbigliamento da lavoro, una delle forme di valutazione creata con il fine di garantire uno sviluppo sostenibile e responsabile in tutti i settori produttivi italiani, incluso quello tessile in generale, ma che noi analizzeremo sotto il punto di vista dell’abbigliamento da lavoro, con i suoi pregi, i suoi limiti, le sue problematiche.
Il Made Green in Italy abbraccia la fase della creazione dell’abbigliamento da lavoro, la gestione della vita degli indumenti, il fine vita.
Innanzitutto cerchiamo di capire cosa vuol dire Made Green in Italy = realizzato ecologicamente in Italia. Il Made Green in Italy è uno schema volontario che si può applicare a tutte le produzioni (dal settore agroalimentare a quello tessile, della cosmesi o del mobile) che hanno origine in Italia secondo il regolamento europeo 952/2013. È stato originato dall’articolo 21 comma 1 della legge 221 del 2015 afferente alle disposizioni in materia ambientale per promuovere la “green economy”. Gestito dal Ministero della Transizione Ecologica è soggetto ad un regolamento per la sua applicazione. Adotta per la prima volta in Europa la metodologia di calcolo dell’impronta ecologica “product environmental footprint” meglio conosciuta come PEF. Essendo un progetto nazionale lo troveremo valido solamente in Italia, in effetti ha come fine quello di rafforzare le misure per la valorizzazione del Made in Italy, ma non tornerà utile a quanti devono creare vestizioni per paesi oltre il mercato italiano.
La logica di base è quella di valorizzare quei prodotti italiani con prestazioni ambientali elevate e genera riconoscibilità mediante un logo che crea consapevolezza.
Il Made Green in Italy è sia uno schema di valutazione del peso ambientale dei prodotti che un marchio, quindi si parla di prodotti sostenibili e Made in Italy.
La sostenibilità, come già detto, la si calcola mediante la metodologia Europea PEF che ci permette di sapere mediante calcoli l’impronta ambientale (per esempio emissioni di gas serra, consumo di risorse naturali e idriche etc.) misurando che impatto ha il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, dalla creazione all’utilizzo dell’utente finale.
Tra i requisiti facoltativi possono essere inclusi i CAM se applicabili alla categoria di prodotto, infatti i CAM per l’affidamento del servizio di lavaggio industriale e noleggio di tessili identificano come fattore premiante il possesso della certificazione Made Green in Italy oltre che garanzia del rispetto delle specifiche tecniche.
Ad oggi nel mondo esistono oltre 450 etichette verdi dette ecolabels con una grande proliferazione di metodi e iniziative inconsistenti.
Lo schema per ottenere la licenza per l’uso (triennale) del logo Made Green in Italy è soggetta a una serie di passi da seguire, che includono la elaborazione delle regole di categoria di prodotto (RCP) fino alla creazione di benchmark da raggiungere (classi A, B; non possono accedere al Made Green in Italy quelli in classe C), poi adesione allo schema del Made Green in Italy e trasmissione della documentazione. Possono chiedere l’adesione allo schema solamente quei produttori di prodotti per i quali esiste una RCP in corso di validità.
Il raggiungimento e superamento dei benchmark può essere persino comunicato, per esempio “prodotto che supera il benchmark del 30%” e anche la conformità ai CAM applicabili
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